FISIOLOGIA

Un pò di Botanica

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Voglio postare un articolo preso tanto tempo fa dal sito “Scafati Solidale” da cui poter apprendere nozioni facili facili riguardo alla fisiologia vegetale.
Nel bagaglio tecnico di un buon bonsaista non possono mancare alcune nozioni basilari di questa importante ed affascinante scienza: la botanica.
L’ intento è solo quello di fornire i rudimenti per comprendere come è fatta una pianta, e la sua fisiologia, ciò allo scopo di capire meglio alcune tecniche bonsaistiche.

Nell’immagine sopra sono descritte le principali parti macroscopiche di una pianta con relativi nomi.

LA RADICE

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E’ l’ apparato ipogeo (sotterraneo) di una piana, e consta di vari organi che la compongono quali: peli radicali, cuffia, caliptra, etcc.
Essa è deputata a svolgere due tipi principali di funzioni; una di ancoraggio della pianta al suolo, e un’alta di assorbimento della soluzione circolante presente nel suolo con i relativi, sali minerali disciolti in essa.
Quindi la funzione di ancoraggio è deputata alle radici primarie e/o fittonanti, mentre l’ assorbimento viene attuato dal capillizio radicale, e cioè le radici più fini.

Le radici non sono provviste di foglie (non sono articolate in nodi ed internodi come avviene per il fusto), ma possono essere ripetutamente ramificate per la formazione di radici laterali.
All’estremità della radice, si trova la cuffia radicale o caliptrache circonda l’apice vegetativo proteggendolo nella sua continua crescita ed allungamento, consentendo la penetrazione nel sottosuolo.
Subito dopo l’apice, segue una zona liscia e poi una ricoperta di peli: zona pilifera.
Questa zona ha, normalmente, una lunghezza di pochi cm. La durata dei peli radicali va da uno pochi giorni.Grazie ai peli radicali la radice assorbe acqua e sali.

IL  TRONCO

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Il tronco, o caule, o cormo, rappresenta parte dell’ apparato epigeo (esterno) di una pianta,esso ha funzione di sostegno alla parte aerea, e di trasporto dal basso verso l’alto nei vasi cribrosi, della linfa grezza, e di trasporto dell’alto verso il basso della linfa elaborata ricca di zuccheri provenienti dalla fotosintesi, nei vasi legnosi più interni.

Per cui in esso possiamo immaginare che scorrano due fiumi paralleli, xilema (detto anche legno, è un insieme di tessuti vegetali presente nelle piante vascolari e adibito alla conduzione dell’acqua e dei soluti in essa disciolti per trasporto dal basso verso l’alto) e floema (detto anche tessuto cribroso, è il tessuto di conduzione della linfa elaborata, la soluzione zuccherina che viene traslocata da un’area di produzione, come ad esempio la foglia  matura, ad una regione di utilizzo che richiede gli zuccheri per la propria crescita, come le radici i frutti o i semi), ma con senso opposto, divisi da uno speciale tessuto detto: cambio, responsabile dell’ accrescimento diametrale annuo del tronco.

LA  FOGLIA

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La foglia, fa anche essa parte dell’apparato epigeo (esterno) della pianta, è può essere paragonata ad un vero e proprio laboratorio fotochimico, in cui grazie all’energia luminosa, ed a poche e semplici sostanze chimiche, avviene il “miracolo” della fotosintesi, fonte di vita sulla terra

Fisiologia

Spiegare in poche, semplici e concise parole gli elaborati e contorti meccanismi chimico fisici che stanno alla base della fisiologia di un vegetale, è cosa assai ardua, tanto che alcuni di essi sono ancora mistero per la scienza moderna, è  sarebbe comunque del tutto superfluo addentrarci in così ostico campo; quindi credo sia assai più fruttuoso spiegare con semplici definizioni processi e fenomeni fisiologici, che di sicuro possono tornare utili nella pratica bonsaistica, cosa che a noi interessa, appunto.

Ma le piante respirano?

Si!…le piante “respirano” per così dire, infatti esse sono dotate di particolari organi di scambio gassoso, detti appunto stomi, siti  sulle foglie, e lenticelle sul tronco, possiamo assimilare queste strutture microscopiche a delle piccole bocche situate in prevalenza nella pagina inferiore delle foglie. Queste sono in grado mediante una differenza di pressione tra l’ambiente interno e esterno, di scambi gassosi come: acqua(H2O), ossigeno(O2), anidride carbonica(CO2),  basilari poi per la fotosintesi clorofilliana.

Questo fenomeno prende il nome di traspirazione, ed è alla base di tutti i fenomeni fisiologici di un vegetale, in quanto è alla base della regolazione dell’idratazione dei tessuti, e quindi della vita stessa della pianta.  Ma alcune piante sono anche in grado di perdere acqua  in forma liquida, mediante gli idatodi, situati ai margini delle foglie; questo fenomeno è detto guttazione, è  avviene sempre in condizioni di elevata  umidità..

Come si nutre una pianta?

Le piante sono organismi autotrofi, in grado cioè di elaborare sostanze complesse, da poche e semplici composti minerali, assunti mediante le radici dal suolo, tramite la fotosintesi.

I metodi utilizzati dalle piante sono diversi per far giungere la linfa grezza assorbita dal capillizio radicale, sino alle foglie, che negli alberi possono essere ad elevata altezza; uno è per risalita capillare all’interno dei fasci legnosi, ma si è verificato che ciò è possibile teoricamente solo per altezze inferiori ai 10 m; altra teoria sostiene che la linfa salga nel tronco grazie ad una pressione negativa esercitata dalla traspirazione fogliare, creando una specie di risucchio dall’alto della linfa.
Comunque nulla toglie che la risalita sia dovuta ad entrambi i fenomeni.

Questa linfa grezza giunta nelle foglie, va in contro ad elaborate reazioni fotochimiche, con protagonisti: acqua, anidride carbonica, clorofilla e la luce solare.
In questo modo dopo elaborati processi biochimici, si ha la formazione di glucosio, che è uno zucchero semplice, il quale unendosi con altre molecole darà: amido, cellulosa, lignina, ecc.
Questo glucosio, prenderà poi la via discendente, verso le zone di utilizzazione e/o di accumulo.

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Nella linfa grezza  poi, non vi è come abbiamo detto solo acqua, ma vi sono presenti alcuni elementi minerali, di grande  importanza, i quali si dividono in base all’ utilizzo e alla disponibilità in fondamentali, o macronutrienti (N, P, K, O, C,); e in secondari o micronutrienti (Fe, Mg, S, Cu, Zn, Mn, Cl, B,); queste due serie di elementi, vengono assorbiti sotto varie forme chimiche,(avremo modo di approfondire l’ argomento nel capitolo dedicato alla nutrizione dei bonsai) trasportati alle foglie e rielaborate in molecole più complesse(aminoacidi, acidi nucleici, enzimi,ecc), e trasportate con gli zuccheri nella linfa discendente, ai vari organi.

I  fitoregolatori:

Sotto questo  enigmatico nome si annoverano tutta una serie di composti chimici che potremo anche definire come ormoni vegetali.
La funzione di queste importanti molecole nelle piante, è quella di regolare tutti i processi fisiologici e biochimici, che avvengono in esse. Ne esistono una gran quantità, tutti scoperti nel secolo scorso,(ma ve ne sono ancora da scoprire), e sono annoverati nelle seguenti categorie:

AUXINE:
il più conosciuto è l’acido beta-indolacetico (C10 H9 O2 N) indicato convenzionalmente come IAA.
Il nome “auxina” deriva dal greco e significa aumentare, questo già ci da una vaga idea della sua funzione, che è quella di aumentare la divisione delle cellule e la distensione delle stesse.
Essa viene prodotta negli apici vegetativi, ed è responsabile della produzione di radici avventizie,e dell’ allungamento dei germogli, e della maturazione dei frutti.

Bonsaisticamente è molto importante come fitostimolatore, e nella radicazione di vecchi esemplari.
Il suo effetto decresce con l’ aumentare della concentrazione.

GIBBERELLINE:

Sono state scoperte in Giappone nel 1926 da E. Kurosawa, in piantine di riso.
Oggi si è appurato da ricerche che esistono circa 60 specie chimiche appartenenti a questo gruppo di ormoni, convenzionalmente indicate come: GA.
Esse sono presenti principalmente nelle foglie, e determinano in concomitanza con le auxine l’ allungamento abnorme dei germogli, inducono la ripresa vegetativa in primavera, e la differenziazione cambiale annuale. In fine, il GA è detto anche ormone brachizzante, in quanto in dosi elevate è utilizzato per ridurre lo spazio internodale, creando un effimero effetto bonsai; una frode in definitiva.
Taluni utilizzano soluzioni brachizzanti per ridurre le dimensioni degli aghi dei pini…….

CITOCHININE:

 le radici, sono la principale fonte di citochinine, che vengono poi traslocate negli altri organi della pianta, infatti nelle piante decidue(che perdono le foglie) queste sono traslocate in fine inverno nelle gemme, allo scopo di attuare la ripresa vegetativa nell’imminente primavera. Altra importante funzione e quella di favorire la schiusa di gemme dormienti all’ ascella dei rami, attuando quindi un azione contraria a quella delle auxine.

ABSCISSINA:

viene identificato con la sigla ABA, ed è stato scoperto nel 1965.
Questo ha un effetto del tutto contrapposto ai precedenti, infatti si può considerare come un inibitore della crescita ; in quanto è il responsabile della caduta delle foglie, dei frutti, ed è l’ ormone della dormienza.

ETILENE:

quest’ultimo, è un gas, prodotto dal naturale metabolismo delle cellule vegetali, che ha dei particolari rapporti con i processi fisiologici delle piante legate all’ invecchiamento delle stesse. Esso è abbondantemente prodotto dai fiori, e dai frutti carnosi in maturazione.


LE STAGIONI DELLE FOGLIE

www.pianteonline.com/

 di Maria Ansaldi

http://www.myristica.it/feb-2003/foglie.html

 La foglia è il laboratorio fondamentale della pianta. Qui vengono elaborate le sostanze nutritizie necessarie per la vita, grazie ad un importante pigmento: la clorofilla. Attraverso la foglia si svolgono gli scambi di gas e di acqua. Queste attività risentono in modo determinante delle condizioni climatiche.

Nelle nostre regioni, a clima temperato o temperato freddo, sono infatti molto diffuse le caducifoglie (= piante a foglie caduche); basta pensare a molti degli alberi che formano i boschi vicini a noi. Faggi, aceri, castagni e larici che d’estate ci ombreggiano con rigogliose chiome verdi, in seguito mostrano i caldi colori autunnali, che preludono alla caduta delle foglie.

Questo fenomeno – denominato defogliazione o corismo – rappresenta una totale riduzione della superficie traspirante e consente alla pianta di trascorrere i periodi freddi (o quelli molto secchi). Ciò è vantaggioso nelle zone temperate, dove le stagioni sono marcatamente differenziate, con una notevole escursione termica tra estate e autunno e inverni freddi, con temperature minime sotto lo zero, che possono danneggiare i tessuti fogliari. In risposta a queste condizioni, in autunno le caducifoglie entrano in riposo, sospendendo ogni tipo di attività e spogliandosi completamente della loro chioma.

Nelle zone a clima freddo, nelle regioni ad alta latitudine o nelle parti più elevate delle montagne europee, la stagione favorevole, l’estate, è molto breve e una attività fotosintetica limitata a questo periodo risulterebbe insufficiente alla vita della pianta. Queste regioni molto fredde sono colonizzate da piante sempreverdi che formano una vasta e monotona estensione di conifere: la taiga.

Adattamenti ai cambiamenti stagionali:

per sopravvivere a periodi difficili, le piante utilizzano metodi differenti:

  • annuali, in cui l’intero ciclo vitale si svolge in un anno (erbacee);
  • biennali in cui servono due stagioni di crescita dalla germinazione alla formazione dei semi, infatti durante il primo periodo si forma un breve fusto, una radice, che serve per immagazzinare sostanze, e foglie vicine al terreno e durante la seconda stagione le riserve vengono usate per la fioritura, la fruttificazione e la formazione di semi, dopo di che la pianta muore;
  • perenni invece resistono da un anno all’altro: le erbacee rimangono quiescenti sotto forma di strutture sotterranee modificate, mentre le legnose sopravvivono sopra il livello usando adattamenti
    • quali la perdita annuale delle foglie e sono chiamate decidue; questo procedimento è però molto dispendioso e adatto solo a piante che vivono su suoli fertili.
    • Altro metodo è quello della quiescenza del seme, in cui l’embrione vive in uno stato latente; uno dei fattori che permette il controllo della quiescenza è il tegumento che funge da isolante per l’acqua e i gas impedendo lo sviluppo del seme; altre volte invece sono degli inibitori chimici del tegumento che impediscono lo sviluppo del seme finchè determinati fattori come luce, acqua e freddo, non li modificano

L’abscissione o caduta delle foglie

L’ abscissione della foglia non è la conseguenza indiretta  dell’invecchiamento e morte della foglia  ma un  processo attivo, spesso preparato da lungo tempo che comprende:

  1. transizione  cloroplasti in cromoplasti con diminuzione della produzione della clorofilla verde, che mascherava gli altri pigmenti.
  2. cambiamento di colore delle foglie autunnali
  3. profonde modificazioni de gli altri organuli cellulari
  4. macromolecole vengono idrolizzate e i prodotti solubili che ne derivano vengono trasportati al fusto e poi alle radici
  5. morte di alcune cellule poste alla base del picciolo (strato di abscissione)

La caduta (abscissione) delle foglie è regolata da alcuni ormoni (tra cui l’acido abscissico) e dall’etilene.

Alla base del picciolo si forma la zona di abscissione,, formato da 2 aree

  • uno strato in cui si verifica lo stacco
  • uno che cicatrizza la parte dove avviene l’abscissione: infatti viene prodotto nello strato di abscissione ed agisce stimolando la sintesi e la liberazione dell’enzima cellulasi che disintegra la parete cellulare ed in cui la parete cellulare delle foglie viene riempita di acido peptico sotto forma gelatinosa, in modo da formare un tappo resistente all’acqua ed ad altro

Nelle piante superiori, come gli alberi, ci sono cinque sostanze chimiche conosciute come fitormoni:

  1. tre di questi promuovono la crescita (le auxine, le gibberelline e le citochinine),
  2. due la inibiscono (l’etilene e l’acido abscissico).

La quantità di questi ormoni nella pianta dipende dalla lunghezza del giorno (fotoperiodo) e dalla temperatura.

In primavera la temperatura favorevole e la lunghezza del giorno inducono la pianta a produrre ormoni della crescita, mentre in inverno il freddo e la minore quantità di ore di luce determinano la produzione di ormoni inibitori.

E sono proprio gli ormoni inibitori che in autunno provocano la formazione, alla base del picciolo, di uno “strato di abscissione”, in corrispondenza del quale la foglia si staccherà.

Perdendo la chioma, la pianta si mette al riparo dalle insidie della brutta stagione; inoltre si sbarazza di tutti gli insetti che si nutrono delle foglie, come pure delle loro uova e larve, interrompendone lo sviluppo.

Ciò non avviene nelle piante sempreverdi, che devono talvolta fare fronte ai problemi derivanti da popolazioni di insetti che vivono a spese delle loro foglie, generazione dopo generazione. Molte di queste piante cercano di difendersi con foglie dure, che risultano più difficili da masticare, o contenenti sostanze chimiche sgradevoli o velenose per gli insetti.

Colori delle foglie

Le foglie, durante la buona stagione, sono verdi. Questo colore è dovuto alla preponderante presenza di un importante pigmento, la clorofilla. La clorofilla assorbe solo una parte delle radiazioni solari; quelle che non vengono assorbite si riflettono fino ad arrivare ai nostri occhi. Così noi percepiamo verde il colore delle foglie.

La clorofilla è continuamente prodotta dalla pianta per rimpiazzare quella che è stata distrutta; la produzione di clorofilla richiede forte illuminazione e alta temperatura.

Ecco perché quando arrivano i primi freddi autunnali le foglie mostrano colori diversi dal verde: cessa la produzione di clorofilla e la foglie appaiono colorate da altri pigmenti, che erano presenti anche in precedenza, ma non si percepivano poiché “mascherati” dal verde della clorofilla. In autunno compaiono le tonalità più calde, nei toni del giallo(caroteni) e del rosso, dovute a pigmenti quali i caroteni e gli antociani

e… per continuare…

 In Italia ed in altri Paesi d’Europa sono piuttosto diffuse anche molte specie sempreverdi, tipiche delle regioni temperate calde e subtropicali: ne sono esempi le magnolie, l’alloro, le palme, gli agrumi. Anche le piante mediterranee, molto diffuse lungo le coste italiane, vivono in condizioni climatiche che si possono definire subtropicali. Il clima si differenzia in quattro stagioni, ma l’escursione termica annuale non è molto rilevante; l’inverno è mite e l’estate è calda e arida.

Le piante mediterranee sono sempreverdi, ma devono fare fronte ad una bassa disponibilità idrica estiva, e difendersi dalla eccessiva traspirazione: per questi motivi le loro foglie sono piccole e tipicamente rigide, per la presenza di tessuti ad alta resistenza meccanica, detti “sclerenchimi”. Inoltre, la loro epidermide è ben impermeabilizzata grazie al rivestimento di materiali quali cutine e cere, che trattengono l’acqua all’interno e riflettono buona parte della luce incidente. E’ alla elevata riflessione della luce che si deve la caratteristica lucentezza delle foglie di molte mediterranee.

Il leccio (Quercus ilex L.), il mirto (Myrtus communis L.), il corbezzolo (Arbutus unedo L.), la fillirea (Phyllirea latifolia L.), il legnopuzzo (Rhamnus alaternus L.) sono piante mediterranee che, per le caratteristiche delle loro foglie, tipicamente piccole, dure e lucide, prendono il nome di “sclerofille sempreverdi”.

Nelle foreste pluviali equatoriali il calore e l’umidità sono pressoché costanti; le foglie “lavorano” più o meno nello stesso modo durante tutto l’arco dell’anno, e sono persistenti: queste foreste sono costituite da piante sempreverdi, con foglie a lamina larga.

L’adattamento a condizioni di clima rigido è consentito da una “invenzione vincente: la foglia aghiforme, quella che forma le belle chiome verdi-scure degli abeti bianchi (Abies alba Miller), degli abeti rossi (Picea excelsa (Lam.) Link), dei pini mughi (Pinus mugo Turra), dei pini cembri (Pinus cembra L.), ecc.

Le foglie aghiformi sono adattate sia al freddo sia alla siccità indotta dall’impossibilità di utilizzare l’acqua ghiacciata. Hanno uno spesso rivestimento ceroso esterno e gli stomi sono situati in una profonda infossatura che percorre tutta la lunghezza dell’ago. La linfa di queste piante, inoltre, difficilmente congela.

Le foglie persistenti durano sulla pianta uno, due o tre anni, quindi a rotazione vengono rinnovate. In questo modo la pianta non resta mai priva di chioma: è una sempreverde. Inoltre possono fotosintetizzare anche d’inverno, sia pure con attività meno intensa che in estate; i diversi ritmi stagionali sono testimoniati dalla formazione delle cerchie annuali.

Ma se i climi nel Mondo sono estremamente vari, altrettanto diversificati sono i modi che ha “escogitato” il mondo naturale, attraverso l’evoluzione, di adattarsi ad essi. Ed allora c’è anche una pianta – che possiamo facilmente osservare, poiché è piuttosto diffusa sulle coste mediterranea – per la quale la stagione avversa, quella da trascorrere in riposo vegetativo, è l’estate

Si tratta dell’euforbia arborea (Euphorbia dendroides L.): i suoi rigogliosi cespugli colonizzano ambienti rupestri ed assolati prossimi al mare.

Di un bel verde nel periodo autunno-invernale, fiorisce precocemente in primavera; all’avvicinarsi dei primi caldi le sue foglie diventano rosse, appassiscono e cadono. Durante l’estate – la calda ed arida estate mediterranea – queste belle piante, private della chioma, mostrano i rami nudi con un aspetto quasi scheletrico. Ma già dalla fine dell’estate rispuntano le foglioline che doneranno nuovamente l’aspetto rigoglioso a questo elegante arbusto.

 

 

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